Messaggio del Parroco

Carissimi, 
di corsa tra una cosa e l’altra, riesco a mettermi in fila dal fiorista che in questi giorni son assai presi. Anch’io ho i miei morti da ricordare e, tra essi, la mia cara mamma. Appena mancata correvo al cimitero tutti i giorni, poi piano piano sulla sua tomba ho cominciato a ritornarci solo ogni settimana portandole sempre fiori freschi. L’ho fatto per dieci anni e più, ma, oltre ai costi, è diventato sempre più difficile organizzare una scappata a casa il sabato mattina per trovare il papà, fermandomi a comprare qualcosa da mangiare insieme, passare a prendere un mazzo di fiori per poi far tappa al cimitero con il cibo che si freddava. Il tempo consuma i corpi, lenisce il dolore, allontana e sbiadisce i ricordi. Quest’anno sono già ventitré che se n’è an-data ed io ho ormai superato la sua età. Ne aveva solo ventidue quando mi ha messo al mondo. Vado sulla sua tomba, osservo la sua fotografia, leggo il suo nome e quelle date che inesorabili segnano l’inizio e la fine della sua breve vita: cinquantacinque anni, un mese ai cinquantasei. Stava bene, non aveva nulla, non era malata. Aveva appena provato la gioia della nascita del suo primo nipote, il secondo a dire il vero: la sorellina prematura era morta nello stesso giorno in cui è nata. Eravamo passati il sabato a casa di mia sorella e avevamo fatto alcune foto insieme al piccolo appena arrivato dall’ospedale. Poi, come sempre, è venuta con me a Paullo per sistemare un po’ le mie cose; l’ho riaccompagnata quindi al paesello con i panni da lavare che avrei riavuti, profumati e stirati, per la settimana che veniva. Il martedì le ho telefonato appena ritirate le foto sviluppate. Le avrebbe viste di lì a qualche giorno, ma non fece in tempo. Prima di chiudere la conversazione mi disse: “Ciao”. Un ciao diverso dal solito. Lì sul momento non potevo capire perché qual ciao fosse risuonato dentro di me in quel modo, più dolce, più caldo, più affettuoso delle altre volte. Lo scoprii purtroppo di lì a breve: quello fu per me il suo ultimo “ciao”. La corsa all’ospedale di Lodi, poi al S. Raffaele: “Dov’è mia Mamma?”. Finalmente posso avvicinarmi alla barella: è in coma, non parla più, non risponde più. Appena, terminata la Messa e il parroco mi aveva detto: “Tua mamma è stata male”, ho preso d’istinto l’Olio Santo e senza quasi capir più niente sono andato a cercarla per ospedali. Stava bene quel giorno, aveva lavato i piatti, poi era andata al cimitero per sistemare qualche tomba dei nostri morti ed è lì che è scoppiata una bomba ad orologeria che, senza che nessuno lo sapesse, aveva nella sua testa. Un aneurisma celebrale. Quei diciotto giorni furono i più lungi e tristi della mia vita. Alla prima operazione in quella stessa notte che ho passato cercando di dormire seduto sulle sedie della sala d’aspetto, ne sono seguite altre due. Un filo di speranza; miglioramenti che tardavano a manifestarsi; lei sempre in uno stato di coma indotto dai farmaci per dare al suo cervello il tempo di riprendersi. Purtroppo non ce l’ha fatta, le cose non sono andate come avevamo sperato. La morte celebrale il 22 dicembre, sì proprio il giorno in cui madre Cabrini ha chiuso nel 1917 i suoi occhi a Chicago, la morte dichiarata il giorno seguente. Il funerale l’ho celebrato a Santo Stefano. Dietro casa a Paullo avevo un piccolo giardino che dava sull’oratorio, giusto una striscia di terra che costeggiava il muro di cinta. Che strano che per tutto il mese di dicembre, men-tre mia mamma era ricoverata in ospedale, siano sbocciate tante violette. Decisamente fuori stagione. Non era mai successo, né succederà più. Tutto sembrava essere un segno e descrivere un disegno preciso. Mi è stato di conforto, perché mi è parso evidente che quel “ciao” speciale e quei fiori improbabili anche per un in-verno mite, sono stati una parola per me che mi ha confermato che la nostra vita sta dentro un mistero più grande. O sì, sul momento mi sono un po’ arrabbiato anch’io con il Signore! Non doveva portami via mia mamma così presto. Non era giusto! Poi, piano piano come tutti, anche io ho imparato a sentire la presenza della mia mamma, in un’altra maniera. Nulla è potuto torna-re come prima. A volte mi domando come sarebbe stato condividere anche con lei alcuni momenti come quello di essere arrivato come parroco in mezzo a voi. Quel giorno, ne sono certo, sarebbe stata tanto orgogliosa e piena di gioia per me. Ora sono qui sulla sua tomba e prego: “Signore donale l’eterno riposo, donale quella gioia vera e piena che solo tu ci puoi donare. È stata una brava mamma, ha fatto tanto per me. È cresciuta con me… e per farlo c’è voluta la cosa più importante: tanta umiltà. Ciao mamma”. La bene-dico con il segno della croce. Quanti morti in questi anni ho benedetto e accompagnato al cimitero. A qualcuno di loro ho sussurrato: “Quando arrivate in paradiso, andate a saluta-re la mia mamma e a dirle che le voglio bene”.
 Il vostro Parroco 

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